Questo non intende essere un editoriale catastrofico. Non vuole nemmeno essere ottimistico. Vorrebbe semplicemente piantare un seme, instillare l’idea che il mondo di domani (mattina) potrebbe essere diverso da quello che conosciamo oggi. E, d’altra parte, dopo il web il mondo non è stato più lo stesso. E così dopo l’auto, l’elettricità, la ferrovia, la stampa a caratteri mobili di Gutenberg, il fuoco scoperto da lontani antenati.
L’ipotesi su cui vi invito a riflettere è che l’intelligenza artificiale generativa (GenAI) potrebbe distruggere milioni di posti di lavoro in una rivoluzione silenziosa, implacabile e molto rapida. L’AI generativa, un tempo confinata ai laboratori di ricerca, è oggi diventata una forza rivoluzionaria che sta rimodellando il mondo. Il mondo del lavoro e non solo. Strumenti come ChatGPT, DALL·E, Midjourney e GitHub Copilot stanno rapidamente offrendo funzionalità sempre più avanzate, capaci non solo di supportare i lavoratori umani, ma anche di sostituirli. I segnali sono chiari: l’onda lunga della GenAI sarà disruptive, nel senso più brutale del termine. I posti di lavoro a rischio sono tanti e il mondo sembra impreparato ad affrontare questa trasformazione.
Un fenomeno già in corso
Duolingo, l’app per l’apprendimento delle lingue diffusa in tutto il mondo, ha recentemente annunciato che sostituirà gradualmente i collaboratori esterni con sistemi di intelligenza artificiale. La decisione è stata comunicata dal CEO in una lettera pubblicata sulla pagina LinkedIn dell’azienda. «Smetteremo gradualmente di utilizzare collaboratori per lavori che possono essere svolti dall’AI», si legge al primo punto del piano strategico che punta a trasformare Duolingo in un’azienda AI-first. Con effetto immediato, l’automazione sostituirà il lavoro umano in un numero crescente di funzioni operative.
Duolingo non è la sola a percorrere questa strada. Poco prima, il CEO di Shopify, app di e-commerce, ha ribadito l’importanza dell’AI per l’azienda, invitando i manager a motivare meglio le richieste di risorse, dimostrando con chiarezza perché le stesse attività non potessero essere svolte dall’AI.
Le aziende sembrano sempre più allineate nel far diventare l’AI centrale nei loro modelli di business. Nella lettera, Duolingo sostiene che «senza l’AI ci vorrebbero decenni per adattare i materiali didattici a un maggior numero di studenti. Abbiamo il dovere di fornire questi contenuti il prima possibile». In base al nuovo piano, ogni manager sarà chiamato a ridefinire le proprie modalità operative in ottica AI.
Una minaccia reale
Alcuni studi lo confermano:
- Un rapporto del World Economic Forum (WEF) stima che, entro il 2027, nel mondo verranno persi 83 milioni di posti di lavoro a causa dell’automazione e dell’adozione dell’AI, a fronte di 69 milioni di ruoli creati, con un saldo negativo di 14 milioni
- Goldman Sachs ha affermato che la GenAI potrebbe automatizzare fino al 25% delle attività lavorative, con punte del 46% nei settori amministrativi e 44% nella contabilità e finanza. Lo stesso studio ipotizza che 300 milioni di posti di lavoro potrebbero essere esposti all’automazione nei prossimi anni nei soli paesi sviluppati
La GenAI, a differenza delle precedenti ondate di automazione, non si limita a sostituire operai alla catena di montaggio, bensì entra con forza in ambiti creativi, analitici e intellettuali: marketing, giornalismo, programmazione, progettazione grafica, consulenza legale, assistenza clienti. Nessuna professione è veramente al sicuro.
L’intelligenza artificiale generativa è in grado di produrre testi coerenti, realistici e contestualizzati, creare immagini, video e musica, generare software con una velocità e precisione che superano gli standard umani medi. Alcuni esempi:
- Marketing: piattaforme come Jasper, Copy.ai e ChatGPT stanno sostituendo copywriter, social media manager e creatori di contenuti. Le agenzie stanno già riducendo il personale grazie all’automazione del copywriting
- Servizi legali e contabilità: l’automazione della redazione di contratti, analisi di clausole e contabilità sta riducendo la necessità di personale junior negli studi legali e nei team amministrativi
- Servizio clienti: chatbot sempre più sofisticati possono risolvere problemi, rispondere a domande complesse e guidare gli utenti spesso meglio degli operatori umani
- Giornalismo: testate come Reuters e Bloomberg usano già l’AI per scrivere articoli economici, sportivi e report in tempo reale, riducendo il personale redazionale
- Programmazione: strumenti come GitHub Copilot o Replit AI possono generare codice partendo da una semplice descrizione in linguaggio naturale. Molti sviluppatori junior, incapaci di dare vero valore, sono a rischio
La velocità del cambiamento è senza precedenti
A preoccupare non è solo la portata, ma la velocità con cui la GenAI sta avanzando. Se per introdurre robot nelle fabbriche servivano anni di investimenti, l’intelligenza generativa può essere adottata in pochi giorni, a costi nominali molto bassi. Le barriere all’ingresso sono minime: basta un computer, una connessione internet, un abbonamento e un po’ di competenza e formazione. Questo consente alle aziende di riorganizzare repentinamente le risorse, magari riducendo l’organico in alcuni reparti e sostituendo parte delle persone con strumenti AI. Secondo una survey di McKinsey, il 40% delle aziende che hanno implementato la GenAI ha già rivisto le proprie politiche di assunzione, riducendo gli inserimenti nei ruoli automatizzabili.
Addirittura c’è chi ipotizza la futura nascita di unicorni monopersonali, ovvero aziende costituite da un singolo fondatore e CEO e da uno staff 100% AI, che, pur senza personale alle dipendenze, possano raggiungere fatturati a 9 zeri.
Senza andare troppo in là, la conseguenza più probabile e immediata sarà una polarizzazione del mercato del lavoro. Da un lato, pochi lavoratori iper-specializzati e creativi, capaci di governare l’AI. Dall’altro, una massa crescente di esclusi digitali, i cui compiti sono replicabili dalle macchine. Una ricerca della Brookings Institution evidenzia che l’automazione potrebbe colpire in modo sproporzionato i lavoratori con redditi medi e medio-bassi, aggravando diseguaglianze economiche e sociali. Questo potrebbe tradursi in tensioni sociali, disoccupazione strutturale e un aumento delle persone dipendenti da sussidi pubblici.
La risposta delle aziende?
Molti leader aziendali affermano di voler riqualificare i lavoratori, ma non è facile. Secondo PwC, solo il 18% delle aziende globali ha attuato piani concreti di reskilling su larga scala. La motivazione è semplice: riqualificare costa più che sostituire. Quando ChatGPT costa $20 al mese e può scrivere come o meglio di un impiegato, la tentazione di tagliare personale è fortissima, con nuove implicazioni sociali:
- Disoccupazione tecnologica: storicamente, ogni rivoluzione tecnologica ha portato nuove opportunità. Ma nel caso della GenAI, la sostituzione è così capillare da lasciare poco spazio alla riconversione immediata. Non tutti i lavoratori possono diventare data scientist
- Erosione del lavoro cognitivo: la GenAI non solo toglie posti di lavoro, ma svaluta il lavoro stesso. Perché pagare un grafico, uno scrittore o un programmatore quando un algoritmo produce risultati accettabili rapidamente e quasi gratuitamente?
- Crisi della formazione: l’istruzione superiore non è più una garanzia. Le competenze acquisite potrebbero diventare obsolete a breve. Le università stesse stanno cercando di capire come integrare l’AI nei programmi formativi
E in Italia?
L’Italia, con un tessuto produttivo fatto di PMI e un sistema educativo poco flessibile, potrebbe essere particolarmente esposta. Secondo l’ISTAT, circa 9 milioni di lavoratori italiani svolgono mansioni potenzialmente automatizzabili. Tuttavia, il paese non ha ancora un piano organico per la gestione dell’impatto della GenAI sul lavoro.
Nel 2024, l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano ha rilevato che solo il 16% delle aziende italiane ha iniziato a integrare GenAI in modo strutturato, ma il 70% dichiara di volerlo fare entro il 2026. Questo significa che l’impatto vero deve ancora arrivare e potrebbe essere repentino.
Siamo di fronte a una rivoluzione tecnologica che, pur portando innovazione e produttività, sta minando le fondamenta del lavoro così come lo conosciamo. L’intelligenza artificiale generativa non è uno strumento neutro. È piuttosto una forza inarrestabile che, senza governance, rischia di disintegrare interi settori occupazionali. I governi dovrebbero agire per regolamentare l’adozione della GenAI, incentivare il reskilling e introdurre forme di sostegno al reddito. Le imprese, dal canto loro, dovrebbero da un lato chiedersi se stanno usando l’AI meglio dei loro concorrenti, dall’altro lato assumersi la responsabilità (sociale e non) delle proprie scelte tecnologiche. Una scelta sbagliata potrebbe essere catastrofica per aziende sprovvedute.
Siamo pronti? Abbiamo un Piano A per l’AI? Un Piano B?
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